Centodieciebau
Home page
Chi sono
Byron Junior
Formazione
Campionati bellezza
Pet therapy
Prove naturali
Rally-Obedience
Cittadino a 4 zampe C4Z
FISC - CNS
APNEC
CSAA
Contatti
Foto Gallery
Problematiche Comportamentali
Dog Dance o Free Style
Articoli
Handling
Amici
Veterinari Collaboratori
GRAZIE MARGOT

Il mio primo incontro con i Bernesi avvenne un sacco di tempo fa (nel 1997 quando avevo solo18 anni) ed era un settembre: mi trovai a passeggiare a Palmanova (pittoresca città-fortezza a forma di stella, in provincia di Udine) ed incrociai una allegra famigliola “allargata”: un giovane signore con al guinzaglio due cani maestosi (un maschio ed una femmina) seguito da una giovane signora con al guinzaglio due cuccioli della stessa razza. Immediatamente questi cani mi attrassero, ma non li conoscevo e decisi di approfondire. Andai su internet (all’epoca molto più lento e meno fornito di adesso) e capii che appunto si trattava del Bovaro del Bernese. Dalle notizie estrapolate sul sito, ottenni però una descrizione assai approssimativa, che addirittura li definiva come…un pochino… “tontoloni”. Dovetti accantonare temporaneamente le ricerche perchè mi trasferii a Padova, dove frequentai l’Università di Scienze Forestali con specializzazione su fauna selvatica. Rientrai in Friuli, fui assunto dalla Forestale di stato e mi stabilii a vivere da solo in una cascina isolata sulle colline a Capriva del Friuli. Fu qui che sentii immediatamente la mancanza di un cane (in tutti i giorni della mia vita ne avevo avuto uno al mio fianco, persino a Padova c’era un Labrador “comunitario” con il quale condividevamo l’appartamento) ed iniziai a pensare definitivamente al tipo compatibile con i miei ritmi ed il mio “habitat”: fauna selvatica in giro, un giardino sconfinato e senza recinzione, una quotidianità in mezzo alla natura… insomma, una serie di fattori che mi fecero propendere per cani forti, con istinto predatorio poco accentuato, con tendenza a non allontanarsi e con un idonea attitudine alla guardia. Finché, una sera di tarda estate (era la fine di agosto), fui ospite a casa di un amico di infanzia e tra gli invitati c’erano anche sua cugina, Sara, accompagnata dalla sua giovanissima Bovara del Bernese, Wilma, ed un ragazzo con un bel Pastore Tedesco a pelo lungo. Fu un’ottima occasione di confronto. Sorprendentemente le doti della Bovara monopolizzarono la mia attenzione: furba, non impulsiva, studiava tatticamente le mosse da fare, accurata e veloce nell’azione. Ne parlai con Sara, le espressi il desiderio di averne una anch’io e lì, su due piedi, come un regalo divino, Sara mi disse che mi avrebbe donato una figlia della sua Wilma non appena possibile. Si fidava di me ed era sicura che avrei cresciuto sua “nipote” meglio di chiunque altro al mondo. Sussultai, incredulo ed euforico. Lusingato, accettai ovviamente con sommo piacere. Arrivò finalmente il 9 novembre, Wilma partorì e vennero alla luce otto cuccioli, sei femmine e due maschi. Immediatamente, io e Sara ci precipitammo presso l’allevamento: dopo esserci lavati bene le mani, infilati dei sopra-abiti e dei sopra-scarpe isolanti, gli allevatori ci presentarono i piccoli “fagiolini”: tenerissimi, buffi e goffi, con il tartufino rosa macchiato di nero. In particolare ricordo un simpatico aneddoto: quando i cuccioli si attaccavano alle mammelle della madre, tanto più erano sazi di latte, tanto più alzavano la codina, come un indicatore di livello! Una volta colmi, facevano pochi passettini, un “ruttino” e poi via, cullati da Morfeo in tranquilli sonni. Ero in preda ad un sentimento vivo ed intenso, mai provato in tutta la mia vita, tanto è vero che scattai circa un’ ottantina di foto, ma ero così commosso che tecnicamente non né riuscì nemmeno una! Passarono (lentissimi) i sessanta giorni previsti prima dell’affido, durante i quali ci furono concesse altre due sole visite. Finalmente il 9 gennaio gli allevatori ci accolsero in una sala lussuosissima, addobbata con un fastoso albero di natale, armonicamente inserito in un contesto molto raffinato. A completare la splendida scena, un Terranova nero-brillante, colossale, appisolato su un prezioso tappeto. Un quadro paradisiaco che tuttavia si dissolse immediatamente all’ingresso dei cuccioli: puliti, profumati, elegantemente infiocchettati con nastrini colorati. Un concentrato d’ eccellenza di doti, messe sapientemente in risalto dall’orgogliosissima titolare. Fra tutti, una cagnetta dimostrò una grinta incontenibile: abbaiò irrispettosamente contro al “bisonte” nero, ancora sopito sul pavimento in legno, e non diede segno di volersi arrendere fin quando il Terranova, con un abbaio stanchissimo (“Wooof!”) la fece rotolare all’indietro; lei si diede una scrollatina, si rivolse a me che tenevo una corda in mano, e si mise a tirare e mordere la corda con quanta più forza poteva, autoincoraggiandosi con improbabili ringhi. La osservai concentratissimo: vidi un piccolo neo che aveva vicino al naso e dissi, già perdutamente innamorato: “Sei Margot… sei tu…!”. A casa si adattò benissimo, senza creare problemi e trascorrendo le giornate sempre in compagnia di persone ed altri animali. Cresceva bella e forte e repentinamente prendeva forma il cagnone che avevo tanto desiderato. Nonostante il massimo impegno, purtroppo Margot pativa per una grave forma di timidezza nei confronti degli esseri umani, per cui, preoccupato, andai a cercare aiuto presso un centro di educazione cinofila. Qui, ahimè, iniziarono i guai. Giunto in loco, un addestratore senza troppi preamboli mi vendette un collare a strozzo e mi spiegò: “Esistono due metodi per addestrare i cani: uno lo chiamano “gentile”…metodo di dubbia validità, non accreditabile, richiede tantissimo tempo e non da risultati. Qui da noi si lavora solo con il metodo “a strozzo”, sicuro, preciso, definitivo...”. Mise al collo della mia cagna quell’aggeggio stranissimo e ci fece entrare nel campo recintato, dove Margot, con la solita stravagante leggerezza, si mise ad annusare, trotterellare, saltarmi addosso. Il responsabile sogghignò, sprezzante, ed in tono di sfida mi disse di passargli il guinzaglio: in una frazione di secondo, con una potenza smisurata, due strattoni violentissimi strinsero il cappio alla gola della mia piccola che, per la prima volta nella sua vita guaì dal dolore. Per me fu uno shock. Fui letteralmente devastato dal dispiacere. Quell’uomo subdolo si accorse della mia reazione e subito aggiunse: “No… non ti preoccupare… fa così perché è viziata, ma non le ho fatto male…Questa cagna non ha avuto regole e deve venire sottomessa al più presto. E questo è il solo modo. Tu sei il proprietario e la devi sottomettere. Devi farle ben capire chi comanda. Non esiste altro da fare se non imporre autorevolmente la tua volontà.”. Sconvolto, mi feci convincere dalle parole dell’ “esperto”, ammettendo la mia totale ignoranza in merito. Salii in auto in lacrime, telefonai alla mia ragazza e le raccontai tutto. Dissi ad Alberta che ero disperato, che avevo sbagliato tutto, che con i cani si dovevano usare la maniere forti: ero completamente deluso. Tornai recalcitrante al corso per altre due volte, finché Margot si rifiutò categoricamente di entrare nel recinto, impiantandosi come un mulo. Fu una tragedia: gli altri conduttori ed i loro cani erano come automi, si muovevano freddamente e diligentemente, senza sbavature, senza scarti. Severi, rigidi, impeccabili. Noi eravamo goffi, indecisi: cercai di alzare la voce e di impormi, ma gli occhioni di Margot mi strinsero il cuore. Resistetti finchè lei si allontanò fisicamente da me, impaurita. Intuii il suo disagio e mi resi conto che stava subendo dei veri e propri soprusi. Mi accorsi che la stavo mandando in “tilt”: mi guardava male, non mi scodinzolava più, mi girava al largo. Ad ogni tentativo di fare chiarezza con l’istruttore, quell’ insulso mi ripeteva: “Chiaro: ora lei ti rispetta. Ti obbedisce. Ti stima.”. Sempre più amareggiato, chiamai Sara e le esposi il mio problema. Scandalizzata, mi disse: “No! Quale strozzo! Mai Wilma ha ricevuto nessun tipo di prepotenza, né fisica né psicologica, solo premi e complimenti. L’istruttrice mi ha insegnato che bisogna far di tutto per impedire che i cani sbaglino, ma se ciò avviene, si devono ignorare completamente gli errori, riproporre serenamente l’esercizio ad uno step per volta e, ad ogni corretta esecuzione, rinforzare con lodi, carezze, bocconcini e giochi. Solo questo è educativo per il cane!”. Dopo aver a lungo confrontato i due metodi, chiamai l’istruttrice di Wilma, le spiegai la situazione e fissammo un appuntamento. Mi scusai in anticipo per il carattere di Margot, perché con ogni probabilità non le si sarebbe avvicinata e non avrebbe collaborato, ma lei mi incoraggiò indulgentemente. Fui smentito clamorosamente: al primo incontro, dopo solo un attimo di titubanza, Margot piombò sull’educatrice alla velocità della luce, come se l’avesse conosciuta da sempre, leccò il suo viso e le balzò addosso scodinzolando a più non posso. A me pareva una magia, una sorta di miracolo… venni poi a sapere che si trattava di “comunicazione interspecifica”: due esseri diversi “parlano” usando il corpo, le mimiche facciali, le posture fisiche. “Si chiamano “segnali calmanti”, li ha proposti Turiid Rugaas dopo aver trascorso molti anni a studiare il comportamento dei lupi”, mi spiegò affabilmente l’istruttrice, soddisfatta dal contatto e dall’interazione con la mia cucciolona. “Il fatto che Margot li riconosca e li riproponga, che mi “ascolti” e mi “risponda”, mi permette di escludere sindromi di privazione sensoriale, desocializzazione e fobie sociali. Imparerete presto a riconoscerli e ad usarli! Mi sono posta lateralmente al cane, non l’ho guardata negli occhi, ho girato la testa di lato, non ho fatto movimenti irruenti…le ho così comunicato la mia tranquillità. In più mi sono data una lieve leccatina al labbro superiore: per loro equivale ad un’amichevole sorriso! In generale i cani non amano i conflitti, per questo hanno sviluppato tutta una serie di segnali che vengono utilizzati per prevenire le aggressioni e per ridurre la tensione tra i vari individui; a sua volta Margot si è leccata il tartufo, movimento veloce molto rilassante per il cane, che dava conferma alle mie aspettative.”. Scettici, ci avviammo verso casa, dove ci venne proposto un questionario finalizzato a comprendere com’era il rapporto tra me e Margot: dove dormivamo, come e dove mangiavamo, quando era avvenuta l’inibizione al morso, le passeggiate, l’interazione con gli altri esseri viventi…domande, domande, domande… e correzioni, suggerimenti, consigli e qualche divieto: vietato il collare a strozzo; vietato urlare o picchiare il cane; vietato strattonare il cane. Ci fu consigliato il ripristino della serenità familiare con una reimpostazione sociale guidata e tantissimo gioco con palloni, sonaglini, corde da mordere e tirare, ricerche di oggetti, nascondino... Fu una “full immersion” cinofila vera e propria: ci parlò delle origini del cane domestico, della domesticazione, delle tattiche del gioco, dell’ordinamento gerarchico del branco, della differenza tra le razze, della comunicazione uditiva, visiva ed olfattiva, dei comportamenti dominanti e sottomessi, delle capacità cognitive del cane. Citò etologi, studiosi dell’evoluzione e professori (Lorenz, Coren, Fogle Pageat, Reinhard) e sottolineò l’importanza del collocamento di ogni cane nella “scala neotenica” : in pratica ci mostrò un grafico con i diversi stadi di sviluppo del lupo (ideato nel 1982 dal professor Raymond Coppinger, americano) che riportava una ipotesi scientifica: ai diversi gradi di neotenia, non corrisponde solo un aspetto fisico differente, ma anche e soprattutto un comportamento differente da adulto; il cane sviluppa forme e comportamento attraversando diversi stadi di evoluzione; l’uomo, con le modificazioni genetiche è riuscito a “bloccare” la crescita del cane a questi diversi livelli di maturazione creando così le diverse razze; ogni razza accorpa perennemente alcune caratteristiche: adolescenziali (tipo i cani da montagna), le caratteristiche di gioco con gli oggetti, (tipo i Golden Retriver), puntatori (tipo i Border Collie) o i tallonatori-inseguitori (tipo i cani primitivi). Ci spiegò come non è pensabile addestrare tutti i cani (ed i proprietari!) con lo stesso metro e la stessa misura e quanto lesivo fosse il collare a strangolo…Ci “prese per mano” dolcemente e ci accompagnò gradualmente nel nostro percorso di apprendimento cinofilo, con una passione ed un amore incommensurabili. “Però, non siate precipitosi” ci disse, “non lavoreremo con il cane finchè non si saranno risolti i problemi: costruire su basi inadatte significa sprofondare. Rivedrò Margot fra qualche tempo e decideremo se è il caso di procedere.” Nei giorni successivi, il mio rapporto con Margot fluttuava, non era stabile…non capivo bene cosa stesse succedendo ed evidentemente nemmeno la mia cagna capiva. “Ci può essere una regressione nel rapporto, ma servirà a stabilizzarlo. Continuate a fare ciò che vi ho proposto, vedrete che non ve ne pentirete. Ci vediamo la prossima settimana”. Ci incontrammo ed in poco più di un’ora la cagna aveva imparato ad affiancarmi al guinzaglio senza tirare minimamente ed eseguiva diversi esercizi senza nessuna resistenza, scodinzolando continuamente. Di nuovo io ed Alberta rimanemmo sconcertati. Addirittura, Margot riuscì a seguire una breve pista di circa 15 mt. con un angolo a 90 gradi, trovando il “premio finale!” . Da lì in poi, fu tutto un crescendo, altrochè “cani tontoloni”: attivazione mentale, giochi di fiuto, qualche ostacolo di agility, obbedience, inserimento del cane in contesto urbano… Laura voleva attivare le diverse intelligenze del cane e… ci riusciva egregiamente! Continuò a coinvolgerci in nuovi progetti; ci parlò del C.I.A.B.S. con trasporto e rispetto e ci invitò a dare un’occhiatina al sito: ci rendemmo conto dell’esistenza di un mondo assolutamente sconosciuto: tante persone affidabili, professionali ed appassionate che come primo obbiettivo tutelavano la salute psicofisica dei Bovari svizzeri, senza fini di lucro, con l’unico intento di valorizzarle ed incrementarle. A noi sembrava surreale. Ci fece vedere alcuni giornalini intitolati “La voce dei Bovari” e ci dimostrò che nel Club si spaziava dalle esposizioni di bellezza alle ricerche scientifiche, dall’alimentazione all’educazione, si organizzavano gite ed incontri di formazione professionale. Sempre e solo senza fini di lucro, ripeto, solo per amore verso i cani e per il piacere di stare bene con loro. Il giorno dopo effettuai la mia iscrizione come socio ordinario, spinto anche dalla voglia di riscattarmi dalle precedenti sconfortanti esperienze: fui vicedirettore della “Batterfly-arc”, centro di educazione ambientale costituito da una serra in clima tropicale dove venivano allevate farfalle, rettili (ne ho allevati anch’io) ed altri invertebrati (un’affluenza di circa 65.000 presenze all’anno); lì, purtroppo, conobbi il terribile ed ambiguo mercato degli animali che inevitabilmente mi portò al disgusto ed al rifiuto per tale occupazione. Grazie al C.I.A.B.S., assodai invece la differenza fra l’allevare animali per business e selezionare le razze con dedizione ed amore. In virtù della mia diffidenza ed a conferma delle affermazioni positive di Laura nei confronti del C.I.A.B.S., lei mi disse, “Andiamo all’assemblea generale dei soci: valuterai tu stesso.”. Così recammo a Milano, il 31 gennaio presso la sede centrale dell’ ENCI: ai “vertici” incontrammo veramente uomini e donne carismatici, coinvolgenti, disposti al dialogo ed al confronto, cordiali e competenti, accomunati da una sintonia di intenti e di propositi; persone gioviali, brillanti, sorridenti, che a dispetto di inutili formalismi, ci accolsero con affetto e simpatia. Trasmettevano sicurezza, lealtà, trasparenza e complicità. C’erano: il presidente: dott. Ettore Menozzi Piacentini; la vice-presidente: professoressa Silvana Vogel Tedeschi; i consiglieri: Roberto Mrvcic, Giuseppe Colia e Stefania Bertazzoli; la segretaria Tiziana Olivotto con suo marito Paolo Rovri, addetto al webmaster e la ex segretaria, Antonella Dorelli. Durante l’interessantissima assemblea, imperniata di dibatti su svariate argomentazioni (approvazione dei bilanci, elezione di nuovi membri, raduni, attività varie, normative d’allevamento…) fu presentata la recente Delegazione Regionale Veneto, “GR.A.B.BER.: Gruppo Amatori Bovaro Bernese.”, con sede a Schio (Vicenza), sostenuta e diretta dal Sig. Valerio Gianni ed il suo “team” con l’intento di sviluppare anche l’attività folcloristica del traino dei tipici carretti svizzeri da parte dei cani, che originariamente, venivano usati dai contadini per trasportare dagli alpeggi il latte e le forme del formaggio a valle. Davvero fantastico! Devo confessare che io stesso stenterei a crederci se me lo scrivesse qualcun altro, ma…una volta conosciuto il C.I.A.B.S. ci si sente “al sicuro”, si ha la certezza di essere approdati al posto giusto, si ottengono tutte le risposte…un po’ come ritornare a casa dopo tanto vagare per il mondo… Non posso far altro che esprimere e condividere con gli altri soci la mia enorme soddisfazione, la gratitudine e l’entusiasmo per questi cani e per questo meraviglioso Club a cui sono veramente fiero di appartenere!

Per concludere, ringrazio: Alberta, mio grande amore che mi ha affiancato durante questo travagliato percorso; i miei genitori; Sara Livoni, cara amica che mi ha generosamente ceduto Margot; Maurizio e Tiziana, titolari del mirabile allevamento “Starry Town Kennel”; Laura Modonutti, esperta educatrice cinofila e tutto il C.I.A.B.S. , per avermi concesso questa preziosa opportunità.

 

Francesco Bonini e Margot

Con la partecipazione di Laura Modonutti

 

 

 
 
Modonutti Laura
Via Corridoni, 5
33050 Fauglis di Gonars (UD)
Cell 340-2204949
laura.modonutti@virgilio.it